Diario Partigiano

Una storia di Resistenza

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In territorio francese

Viene sferrato l’attacco decisivo alla Valle Varaita da ingenti forze nemiche salite dalla Val Po in direzione di Sampeyre attraverso Pian Croesio, Gilba, per raggiungere il passo del Prete, ultima difesa partigiana verso Sampeyre. Vane le resistenze contro forze superiori di uomini e di mezzi. Pochi giorni prima dell’attacco avevo incontrato a Sampeyre il mio amico e compaesano Mario Garbarino, appena rientrato in Val Varaita dalle zone dei Roveri; insieme avevamo già subito il rastrellamento nel mese di Marzo, mi fece piacere rivederlo anche se questo succedeva sempre nei momenti peggiori.

Ci avviammo insieme verso Chiambretta, ultima borgata sotto il colle del Prete al confine con la Val Gilba. Qui eravamo una ventina di giovani con a capo “CAM” (Mau Antide Ugo, ex sergente dell’esercito) con alcune postazioni di mitragliatrici a protezione del passo; la tattica dei tedeschi era abbastanza evidente: chiudere in una sacca nella Val Varaita le molte formazioni partigiane che confluivano dalla Val Pellice, dal Montoso, dalla Val Po. La resistenza partigiana doveva cercare di rallentare gli attacchi in punti strategici l’avanzata tedesca. Dalla Val Gilba saliva verso il colle, a strati, una fitta nebbia che copriva i tedeschi, i quali approfittarono di questo fatto per sferrare l’attacco alle nostre postazioni e spinsero avanti anche dei gruppi di mucche trovate al pascolo in alta valle. Continua a leggere…

Attacco a Venasca

Le truppe nazifasciste attaccano Venasca, per tutto il giorno incendiano e distruggono il 60% delle case, la gente del posto fugge impaurita. Verso sera le truppe nemiche si ritirano dopo aver dimostrato la loro ferocia nei confronti della popolazione inerme, colpevole soltanto di simpatizzare per la causa partigiana.

Attacco tedesco in Val Po

Ha inizio l’attacco tedesco alla Val Po.

I partigiani di Santa Barbara respingono il primo attacco e solo dopo tre giorni di combattimento i tedeschi, superiori di mezzi e di uomini incendiano dapprima Martiniana e subito dopo il paese di Sanfront.

Nel frattempo continuano i combattimenti e i blocchi stradali, a dar man forte ai tedeschi intervengono reparti fascisti della FOLGORE e NEMBO e insieme tengono Paesana sotto pressione, rastrellano civili che tengono come ostaggi, sparano ed uccidono due partigiani.

Maggio 1944

Nei mesi trascorsi in Val Mala e Val Varaita fummo costretti a continui spostamenti a causa delle difficoltà nel trovare baite disponibili ad accoglierci; in particolare in alta montagna dove i montanari utilizzavano le baite come deposito di fieno e foglie, le stesse venivano svuotate per salvare il contenuto da eventuali rappresaglie (incendi) di tedeschi e fascisti che le consideravano rifugi di partigiani. Per questo motivo noi eravamo spesso costretti a dormire su poche foglie e a volte anche sulla nuda terra.

Poiché in certi periodi non potevamo spostarci per rifornirci di viveri, erano giovani ragazze che dai paesi di fondovalle salivano con pane ed altri generi alimentari (prelevati dai nostri fornitori) e venivano in nostro soccorso incuranti dei rischi che questa loro azione comportava. Si trattava di ragazze giovani alle quali noi, diciottenni, dimostravamo simpatia e riconoscenza. Erano momenti belli in cui uno scambio di parole, uno sguardo, una carezza, rappresentavano un’evasione e rendevano felici noi e loro che ripartivano contente. Continua a leggere…

Relazione del Prof. Giraudo vice parroco di Moretta

Più che sul territorio, Moretta ha pagato col sangue generoso dei suoi figlioli lontani dal focolare domestico il suo abbondante contributo alla causa della liberazione.

Ricordiamo innanzitutto i nostri sette figlioli che a pochi giorni di distanza caddero fucilati dai nazifascisti, unicamente colpevoli di amare la Patria, che volevano liberare dai barbari teutoni e dai feroci despoti pseudo-italiani. Per la Patria avevano alcuni mesi prima abbandonato la famiglia ed erano saliti ai monti ad intrupparsi nelle squadre partigiane, dopo aver disertato con mille peripezie l’esercito fascista. Continua a leggere…

Val Varaita Febbraio – Marzo 1944

Ai primi di Febbraio ci fu una rappresaglia fascista a Tarantasca e S. Benigno, con fucilazioni di giovani renitenti alla leva. Aumentarono gli scontri, si moltiplicò la guerriglia. Arrivò anche Mario Garbarino, mio amico e compaesano: è giovane, non ha ancora compiuto 17 anni, siamo amici fin dalla prima infanzia e abitiamo nello stesso quartiere. Ha voluto seguirmi in montagna perché vuole fare il partigiano, è deciso e coraggioso, non vede l’ora di entrare in azione. Gli do alcuni consigli per metterlo di fronte alla realtà fatta di sacrifici: la guerriglia non è uno scherzo e la vita di noi giovani è molto importante per un futuro migliore. Entrambi proveniamo da famiglie molto povere, perciò è più vivo in noi questo sentimento.

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Val Varaita Gennaio 1944

Rientrai in Val Varaita ai primi di Gennaio, in località Giusiani verso Melle, base partigiana, con una quindicina di giovani al comando dei fratelli Casavecchia. Al 5 di Gennaio giunse una brutta notizia: quella di un imponente rastrellamento compiuto dalle truppe nazifasciste sulla collina di Costigliole nella frazione di Ceretto, una rappresaglia davvero bestiale con fucilazioni, bombe, l’incendio di una trentina di case; ventisette furono le vittime fra la popolazione civile, che subì anche gravissimi danni materiali. Non fu catturato un solo ribelle, ma il tutto si risolse in un grave eccidio di persone appartenenti ad una tranquilla ed onesta comunità di lavoratori agricoli. Fu questa la reazione ai primi attacchi portati dalle bande partigiane ai presidi ed ai posti di blocco nazifascisti. In valle le squadre si ingrossavano di giovani, si costituirono i primi battaglioni.

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Il Battesimo del Fuoco

E’ l’alba.

Il Ten. Rocca dà l’allarme, è in corso un attacco tedesco verso la nostra base. Il tenente ci dispone dietro a postazioni naturali, io sono dietro ad un grosso castano. Ci troviamo a poca distanza uno dall’altro, ai margini della borgata, giù verso il sentiero. L’ordine è di non sparare prima del suo segnale.

Tendo l’orecchio, c’è un silenzio impressionante, guardo il mio compagno che si fa il segno della croce e penso stia pregando. Quei minuti di attesa sono stressanti, tremo, vedo elmetti che si muovono verso di noi, silenzio, poi qualche fruscio.

Sono in possesso di un fucile 91 con diversi caricatori: è il mio primo scontro armato, “il battesimo del fuoco“. Attendo, imbraccio l’arma, poi ecco il segnale: si apre il fuoco, raffiche di mitraglietta da tutte le parti, bombe a mano, fragore di colpi. La fifa mi passa e sparo sino a che l’arma si surriscalda. I tedeschi devono esser molti, non ho idea della durata della cosa. Ad un tratto sento chiamarmi per nome: è il Ten. Rocca che mi fa cenno di venire via.

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Gloria ai Martiri della Libertà

Questi i nomi dei cinque partigiani del Tenente Rocca caduti in combattimento a Calcinere il 30 Dicembre 1943:

OLMO Paolo
anni 19

NEGRINI Orazio
anni 19

DI MURI Libero
anni 21

TESCARI Luigi
anni 19 medaglia d’argento

MANTELLI Bruno
anni 18

Comunicato

Diversi incidenti hanno dimostrato in questi ultimi tempi come l’attività di ribelli e bande abbia potuto aumentare unicamente perché essi vennero aiutati da elementi sconsiderati della popolazione.
I ribelli e le bande operano sia direttamente che indirettamente sempre a danno della collettività.
Pertanto si rende noto che, anche il solo fatto di sopportare o sottacere la presenza il una località di singoli o più banditi o ribelli, verrà ritenuto quale complicità e punito con mezzi draconiani (incendio e morte).
Solo la segnalazione tempestiva ed immediata di tutti i sintomi di attività di ribelli e banditi può salvaguardare la vita e la proprietà di ogni singolo 


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